Lirica e dintorni ai tempi del 2.0
Per la terza ripresa del dittico verista per antonomasia, ovvero Cavalleria Rusticana–Pagliacci, nel fortunato allestimento del 2015 di Damiano Michieletto, la Royal Opera House di Londra aveva ingaggiato tre star capaci da sole di garantire il sold out: Jonas Kaufmann (Turiddu/Canio), Anita Rachvelishvili (Santuzza) e Ermonela Jaho (Nedda). Per una sfortunata concomitanza di indisposizioni, in primis dovute alla nuova ondata di Covid che ha colpito Kaufmann (e il primo sostituto per Canio, Fabio Sartori), tutte e tre le star hanno dato forfait. Sarebbe bastato poco a far saltare la produzione o comunque farla fallire. Invece sono giunti in soccorso Roberto Alagna come sostituto nel ruolo di Canio e Aleksandra Kurzak, sua moglie nella vita e nella scena verrebbe da dire, visto che il soprano polacco è subentrata nel cast come Nedda, ma anche come Santuzza. Il ruolo di Turiddu è stato invece affidato al tenore emergente di talento SeokJong Baek che già avevamo apprezzato nella recente produzione di Samson et Dalila. È uno di quei casi in cui i sostituiti non fanno certo rimpiangere le prime scelte. È stato un trionfo, anche grazie alla direzione eccellente di Antonio Pappano e un cast impreziosito dagli italiani Mattia Olivieri (Silvio) ed Elena Zilio (Mamma Lucia) inossidabile attrice-cantante di rango, oltre ad un bravo Dimitri Platanias (Alfio/Tonio). Quanto allo spettacolo di Michieletto (che gli valse un Oliver Award nel 2016 come miglior nuova produzione operistica), è senz’altro uno dei suoi migliori per concezione e impatto sul pubblico.
Ma partiamo subito dalla celebre coppia che ha salvato la produzione. Roberto Alagna era in buona forma in un ruolo che è fondamentalmente suo da anni. Pienamente nel personaggio, con una fisicità dirompente nel prendersi il palco, unita a una espressione nel canto di stampo mediterraneo Alagna dà vita ad un Canio efficacissimo sia nel riso che nel pianto, solare prima, cupo e tormentato poi, in quanto pienamente posseduto dai demoni della gelosia d’amore (e dell’alcolismo). Ottima l’esecuzione di “Vesti la giubba”, dal grande pathos e senza eccessi veristi. Il cantante è stato generoso nel dispiego dei mezzi vocali, con un canto che punta sempre sull’impatto emozionale e sulla chiarezza di ciò che si canta. A fronte di questo si può passare sopra all’inevitabile passare del tempo che ha reso meno levigata la sua voce. Un tour de force notevole per Aleksandra Kurzak impegnata in entrambi i titoli. Nonostante non venga poi così automatico associare il suo strumento a questo tipo di repertorio (specialmente per Santuzza), il soprano polacco ha sorpreso in positivo per tenuta sfoggiando un giusto spessore e dei registri ben integrati con dei begli acuti e dei centri e gravi ben timbrati, peraltro non gonfiati artificialmente. “Voi lo sapete o mamma” aveva la giusta fragilità e abbandono lirico. Kurzak è stata poi attenta a non caricare i momenti di invettiva, pur riuscendo a rendere drammaticamente in modo efficace la maledizione “a te la mala Pasqua”. Il personaggio di Nedda è stato reso ancora più efficacemente a livello di caratterizzazione, specialmente quando chiamata a ricoprire i panni di Colombina. Vocalmente il personaggio le si addice meglio di Santuzza. La sua è una Nedda piena di vitalità nella manifestazione della sua libertà. Particolarmente brillante quando con il suo strumento sopranile richiama il canto degli uccelli in “Qual fiamma avea nel guardo”. Anche Dimitri Platanias era chiamato a ricoprire due ruoli. Il suo Alfio dalle sembianze mafiose che arriva in scena su un Alfa Romeo, vocalmente ha preso spessore crescente soprattutto nel duetto con Santuzza “Comare Santa”. In Pagliacci è stato poi efficace nel Prologo divenendo poi un Tonio vendicativo, ributtante e malvagio. SeokJong Baek ha cantato nei panni di Turiddu in maniera ineccepibile con buono squillo e senza forzature. Il lavoro interpretativo ha sì dei margini di miglioramento ma la voce stupisce per bellezza. Un peccato che la Siciliana sia stata cantata, come di prammatica, fuori scena. Comunque si tratta di una grande promessa che speriamo si affermi sempre più. Il cast di Cavalleria era arricchito da una veterana del palcoscenico, Elena Zilio che all’età di 81 anni rimane una cantante-attrice di grandissimo valore. Canta, declama, piange (come voluto dal regista) e si muove sul palco con estrema professionalità. Ancor più sorprendentemente, vista l’età, sfoggia ancora una voce solida e ben impostata con dei centri ben torniti. È anche grazie alla sua bravura nella recitazione che lo spettacolo di Michieletto prende efficacia perché altrimenti un abuso di disperazione se mal resa avrebbe reso il tutto molto ridicolo. Molto apprezzato anche il Silvio innamorato dalla bella presenza scenica di Mattia Olivieri, nelle vesti di un giovane panettiere così trasparente nella dimostrazione dei suoi sentimenti. Vocalmente dà il meglio di se quando duetta con Nedda. Completa un cast di livello Aigul Akhmetshina, una Lola seducente avvolta di pizzo nero siciliano che ha cantato “Fior di giaggiolo” con musicalità e ricchezza timbrica. Buona anche la prestazione di Egor Zhuravskii impegnato nel ruolo di Beppe.
In buca Antonio Pappano ha diretto con ampio respiro, estrema musicalità nel sottolineare i motivi più popolari, sensibilità negli abbandoni lirici, passione e scintille nei momenti più infuocati o dal piglio drammatico. Apprezzatissimo l’intermezzo di Cavalleria. Il maestro ha mostrato ancora una volta come sia un uomo di teatro vicinissimo al mondo dell’opera italiana, di fatto “cantando con i cantanti” con cui ha mantenuto un ottimo equilibrio a livello di volume e intenzioni del fraseggio. Il coro della Royal Opera House diretto da William Spaulding era anch’esso in gran forma, soprattutto nell’inno pasquale di Cavalleria ma anche nei momenti finali di Pagliacci, dove il brevissimo intervento del coro che scappa terrorizzato dal teatrino ribaltando le sedie a terra dopo il duplice omicidio a cui ha appena assistito, era da pelle d’oca. Un momento potente che ha chiuso una produzione altrettanto potente.
Seppur non sia più uno spettacolo nuovissimo (anzi, ormai ha tutte le carte per diventare un classico del repertorio del teatro) vanno spese delle parole per la produzione firmata da Damiano Michieletto che recensiamo qui per la prima volta e ripresa accuratamente per questa occasione da Noa Naamat. Si sa che Michieletto spesso divide attirando a sé critiche spesso feroci. Tuttavia i colpi di genio gli vanno riconosciuti e questo spettacolo è azzeccatissimo, oltreché intelligentemente pensato. Il regista italiano ha pensato i due titoli come spettacolo unitario a livello di ambientazione, pur mantenendo chiaramente l’esecuzione distinta. La vicenda viene ambientata in epoca moderna anche se i richiami dei costumi (firmati da Carla Teti) potrebbero far pensare agli anni ’90 ma anche agli anni ’70 o ‘50. Entrambi i titoli si svolgono nello stesso paese del Sud. Michieletto ha l’intuizione di mischiare i personaggi e inserire delle anticipazioni o richiami tra un’opera e l’altra, spesso nei momenti in cui suona l’orchestra. Ecco che in Cavalleria vediamo i paesani gioire per l’imminente spettacolo di Pagliacci, di cui vengono affissi poster e distribuiti volantini a bimbi festanti. Sempre in Cavalleria troviamo Silvio lavorare come fornaio nel panificio del paese e lo vedremo poi flirtare con Nedda (una controfigura – visto che la Kurzak era impegnata in scena) durante l’intermezzo di Cavalleria. Similarmente, in Pagliacci ritroveremo Mamma Lucia riappacificarsi con una Santuzza appena confessata e visibilmente incinta. Altro espediente è quello di far cominciare Cavalleria dalla fine con una controfigura di Turiddu morto esangue a terra, circondato dai paesani e da una Mamma Lucia disperata, mentre fuori scena riecheggia la sua Siciliana “O Lola, ch’ai di latte”. L’azione torna all’inizio della vicenda per poi terminare con la stessa scena quasi fosse il riavvolgimento della pellicola di un film con movimenti al rallentatore. Il sud di Michieletto è un sud arcaico e folcloristico dai richiami cinematografici dove famiglia, onore, pettegolezzo, gelosia, tradimento e religiosità mista all’ipocrisia sono un tutt’uno. Per la scena della processione religiosa durante “Inneggiamo”, quella che potrebbe sembrare una statua della Madonna prende vita rivelandosi un’attrice. Il colpo d’occhio è notevole anche grazie le ottime luci di Alessandro Carletti. Una Madonna non misericordiosa ma giudicante che punta il dito contro Nedda, salvo poi piangere afflitta e ricomporsi in preghiera. Evidentemente il tutto non viene fatto con intenzioni blasfeme (almeno così speriamo), ma a simboleggiare forse come la religiosità viene usata come macigno da una comunità ipocritamente giudicante e che esclude la peccaminosa e scomunicata Nedda. Se lo spettacolo scorre con fluidità e tensione drammatica sempre viva, è anche merito delle scene di Paolo Fantin che girando in maniera circolare su una pedana rotante consentono ai personaggi di muoversi liberamente e agli spettatori di seguire il backstage di alcune situazioni (come quando lo spettatore viene portato nei camerini con un Canio in preda alle allucinazioni dopo aver bevuto, rivedendo allo specchio l’infedeltà di Nedda). Se gli interni ed esterni del panificio dominano Cavalleria, per Pagliacci ci spostiamo in un altro ambiente del paese, una sorta di teatrino parrocchiale adiacente ad una palestra. Al termine applausi al cardiopalma con molte persone in piedi. Applausi molto calorosi avevano accolto anche gli interpreti di Cavalleria al termine del primo atto. Insomma una bellissima serata e uno degli spettacoli più riusciti per canto, regia e direzione di questa stagione della ROH. Con un cast del genere lo spettacolo di Michieletto è assolutamente da vedere.
Royal Opera House –Stagione d’Opera e Balletto 2021/22 CAVALLERIA RUSTICANA Melodramma in un atto Libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci Musica di Pietro Mascagni
Santuzza Aleksandra Kurzak Lola Aigul Akhmetshina Turiddu SeokJong Baek Alfio Dimitri Platanias Mamma Lucia Elena Zilio
PAGLIACCI Dramma in un prologo e due atti Parole e musica di Ruggero Leoncavallo
Nedda Alexandra Kurzak Canio Roberto Alagna Tonio Dimitri Platanias Beppe Egor Zhuravskii Silvio Mattia Olivieri Due contadini Nigel Cliffe, Andrew O’Connor
Orchestra e coro della Royal Opera House Direttore Antonio Pappano Maestro del coro William Spaulding Regia Damiano Michieletto ripresa da Noa Naamat Scene Paolo Fantin Costumi Carla Teti Luci Alessandro Carletti Co-produzione della Royal Opera House, Opera Australia, La Monnaie Brussels e Götebrog Opera
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