Il prossimo primo settembre inizierà l’autunno meteorologico, e finalmente avrà termine un’estate terribile per i nostri ghiacciai, come forse solo il 2003 lo è stata. Complice un micidiale mix di scarsissime precipitazioni nevose invernali e primaverili, e di temperature estive elevate e persistenti, tutti gli apparati glaciali alpini sono stati sottoposti a una prova durissima, per non dire brutale.
Tutti sappiamo cosa sono i ghiacciai, tutti li abbiamo visti, ma forse non tutti li hanno percorsi: attraversando un ghiacciaio, specie se di discrete dimensioni e crepacciato, in qualsiasi orario della giornata, anche di notte e con temperature sotto lo zero, si potranno sentire scricchiolii più o meno forti, secchi rumori come di “qualcosa che si rompe”, lo scorrere dell’acqua al suo interno…. In una battuta, ci si rende conto che i ghiacciai non sono statici e immutabili, come parrebbe a prima vista, ma sono “vivi”. Essi si muovono in continuazione, possono avanzare, regredire, creare o chiudere crepacci, provocare frane, scariche di ghiaccio e roccia, crolli di seracchi, come il recente caso eclatante della Marmolada ha drammaticamente dimostrato.
Del resto, tutti gli alpinisti sanno che percorrere un ghiacciaio richiede – anche – un pizzico di fortuna, e talvolta anche un po’ di più. Come ad esempio si può leggere, in modo addirittura inquietante, sulla Guida CAI-TCI del Monte Rosa, relativamente agli itinerari lungo la sua parete est, ove in vari tratti si raccomanda, e si augura “la massima rapidità e una buona dose di fortuna”.
Ricordiamo quindi che percorrere un ghiacciaio, anche quello all’apparenza più facile e semplice, richiede sempre prudenza e un completo equipaggiamento alpinistico. Le sorprese possono essere dietro l’angolo, o meglio, un passo avanti.
Già nello scorso mese di giugno, gli apparati glaciali delle Alpi si presentavano come solitamente apparivano a settembre, al termine dell’estate, se non peggio: praticamente privi di copertura nevosa sulle lingue glaciali, e con uno spessore nevoso, sugli alti bacini di accumulo (o bacini collettori), quasi irrisorio. E anche i piccoli ghiacciai di media quota, ad alimentazione prevalentemente valanghiva, non facevano eccezione.
Le elevate e perduranti temperature estive, con lo zero termico spesso oltre i quattromila metri, hanno così innescato un processo di fusione dei ghiacciai veramente imponente: da alcune fronti glaciali emergevano torrenti e a volte cascate di insolita portata, a testimoniare l’accelerata e abnorme fusione della massa glaciale.
I conti, ovvero le misurazioni degli arretramenti delle fronti dei ghiacciai, saranno eseguite come ogni anno in autunno, ma certo è facile aspettarsi arretramenti eclatanti. Senza contare la riduzione dello spessore glaciale, che potrà portare, laddove saranno eseguiti, a bilanci di massa altrettanto negativi.
Una situazione che ha di fatto azzerato e costretto alla chiusura lo sci estivo sulle Alpi, con il ghiacciaio dello Stelvio, per fare un solo esempio, in condizioni di grande sofferenza anche nella parte sommitale.
Secondo molti addetti ai lavori, un’annata nivometeorologica così negativa, potrà essere compensata e bilanciata solo da un’annata “opposta”: un semestre freddo – da ottobre a marzo – molto nevoso, e il successivo semestre caldo “non troppo caldo”. In modo che i ghiacciai, dopo i pesanti arretramenti di quest’anno, possano se non progredire, almeno stabilizzarsi e recuperare un minimo di massa.
Se anche il prossimo anno dovesse avere le medesime caratteristiche nivologiche e meteorologiche del 2022, per i ghiacciai alpini si innescherebbe, con ogni probabilità, un processo di regressione quanto mai accelerato, con la progressiva scomparsa di molti apparati, anche di discrete dimensioni, in tempi relativamente brevi.
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