Ogni favola, pur incantevole e straordinaria che sia, deve avere una fine. Anche quella di un re, anche quella del Re. Sì, il tennista per eccellenza, il tennis in persona, bastano due lettere: RF. Oggi, quel giorno che ogni amante dello sport non avrebbe mai voluto vivere, si è infine materializzato. Presto o tardi anche lui doveva appendere la fatidica racchetta al chiodo e dire basta. Niente più partite, niente più vittorie, niente più magie. Una settimana fa, il 15 settembre, è giunto il temuto annuncio del suo ritiro imminente. Era nell’aria, ma non per questo, però, fa meno male.
Roger Federer ha cambiato le sorti di uno sport intero, lo ha trascinato a livelli mai visti prima, dando vita a una generazione di tennisti, quella dei Big Three (assieme a Nadal e Djokovic), che è considerata la più forte di sempre. Dopo aver preso lo scettro mondiale nel 2003, il fenomeno di Basilea ha collezionato un innumerevole cifra di titoli e record, ponendo l’asticella lassù, in alto come nessuno prima di lui. È stato un modello, un esempio, per tutti quanti.
Nel tennis, considerato da molti lo sport del diavolo (a causa delle sue dinamiche che mettono a durissima prova l’aspetto mentale dell’atleta), esiste una sorta di regola non scritta: vince chi sbaglia di meno. È sempre stato così, sempre fino al suo arrivo. Roger non giocava in maniera conservativa, non aspettava gli errori non forzati dei suoi rivali. Lui danzava sul campo in maniera leggiadra, spostandosi con la grazia di un ballerino, ma colpendo, al contempo, con una forza sbalorditiva. Il livello di spettacolo dei suoi match non era equiparabile ad altri: annoiarsi era impossibile, perché da un momento all’altro lo spettatore sapeva che lui era costantemente in grado di estrarre un altro coniglio dal cilindro.
Spesso è stata questa la parola più utilizzata per spiegare il suo dominio nel corso degli anni. Quella capacità di innata di colpire palline di mezzo volo pur trovandosi a centimetri dalla riga di fondo, oppure lasciare il pubblico a bocca aperta per una sua volée elegante o un improvviso colpo tra le gambe. Federer era questo, ma non solo. Sì, perché il talento da solo non basta, neanche nel suo caso. Anche lui aveva bisogno di allenarsi, di perdere e di imparare dai suoi errori. Soventemente si sottovaluta l’aspetto battagliero di King Roger, ma la sua tenacia è stata fondamentale per i suoi successi, perché senza quella un come-back come quello del 2017 non sarebbe stato possibile.
Oggi si conclude una delle carriere più straordinarie della storia sportiva, ma anche in questo caso, coerentemente con la sua storia, Federer lo fa a modo suo. Il più grande di sempre non chiude in singolare, ma lo fa in doppio e non con uno qualunque. Lo fa, infatti, al fianco del suo più grande amico e rivale: Rafael Nadal. Chiudere alla Laver Cup è una sorta di atto simbolico, un ulteriore prova di quanto Federer abbia dato al tennis. Lui, che è stato un grande promotore di questa competizione, dove gli avversari di una vita diventano compagni di squadra. Per un’ultima volta, questa sera, potremo assistere al più grande ambasciatore rossocrociato, a colui che ha rappresentato la Svizzera al meglio in ogni angolo del pianeta. Non resta che dire una cosa: grazie Roger, grazie di tutto.